Stéphane LELIÈVRE : Lei è arrivato a Liegi nel gennaio 2022, in un momento in cui la situazione all’Opéra Royal era piuttosto tesa: c’era stata la scomparsa dell’ex direttore Stefano Mazzonis di Pralafera, poi la partenza anticipata di Speranza Scappucci… Ora, in un lasso di tempo molto breve, abbiamo l’impressione non solo che la situazione si sia stabilizzata, ma anche che l’orchestra abbia fatto dei progressi molto evidenti. Come avete raggiunto questi risultati?
Giampaolo BISANTI : La creazione di un ambiente di lavoro sereno è stato certamente il risultato di un lavoro complesso e vincente di Stefano Pace che è un uomo di Teatro di grandissima esperienza. Ha creato le giuste condizioni, il giusto staff e le migliori prerogative perché ogni singolo lavoratore del Teatro si sentisse coinvolto nella vita di questa Istituzione e sentisse di far parte di un progetto artistico vero e propenso al futuro.
Io mi ritengo molto fortunato e mi sono inserito in questo perfetto “ingranaggio” teatrale con grande passione e voglia di fare bene. L’Orchestra si è fidata e si è “affidata” e stiamo costruendo un percorso veramente di grande qualità.
S.L. : Dal suo arrivo all’Opéra Royal de Wallonie, lei si è fatto un punto d’onore di dirigere una grande varietà di repertori (il giovane Verdi – Alzira – così come il Verdi “classico” – La traviata -, Puccini, Dvořák, Offenbach; e quest’anno ci saranno anche Werther e La Damnation de Faust), sempre con lo stesso rigore stilistico… e lo stesso successo! È importante per il direttore musicale di un’opera non confinare l’orchestra, non limitarsi a un solo tipo di repertorio?
G.B. : La mia carriera per più di venti anni si è concentrata sul grande repertorio italiano, da Rossini ai più importanti compositori del Verismo. Credo che sia stata una straordinaria “palestra” e adesso, con questo bagaglio di esperienza e di maturità, ho accettato la proposta del Sig. Pace di ampliare il repertorio delle Stagioni dell’Opera Royal de Wallonie e, di conseguenza, il mio.
Un musicista ha sempre bisogno di sperimentare e di mettersi in discussione ed io mi avvicino a questi immensi capolavori musicali “stranieri” con la massima umiltà e la più grande voglia di mettermi sempre in discussione. E insieme a me cerco di coinvolgere questa meravigliosa Orchestra che si è dedicata a questo nuovo percorso musicale con un entusiasmo davvero encomiabile e che infonde sempre grandissima energia e impegno in ogni singola produzione.
S.L. : All’Opéra Royal de Wallonie è molto evidente la volontà di fare incursioni in un repertorio più nordico, a cui il pubblico non è stato necessariamente abituato nelle passate stagioni: c’è stata Rusalka, Katia Kabanova, e attualmente state provando Tristano e Isotta: come preparate l’orchestra a linguaggi ed estetiche con cui non ha necessariamente familiarità? Ha la sensazione che il pubblico segua le nuove scelte dell’Opéra de Liège?
G.B. : La nostra Orchestra ha una duttilità veramente straordinaria. Da un punto di vista squisitamente tecnico abbiamo delle prime parti eccellenti che lavorano con le loro sezioni per creare al meglio un “suono” che di volta in volta si adatti al tipo di repertorio che affrontano.
© J. Berger - ORW
Dal punto di vista musicale poi, il lavoro sul tipo di scrittura “mittleeuropea” è molto avvincente e sono sicuro che, oggi dopo circa due anni in cui i nostri orchestrali affrontano queste Opere, poche Orchestre abbiano la capacità di trovare una cavata di suono di così grande qualità per Wagner e subito dopo trovare una spiccata leggerezza per affrontare Rossini. Sono molto orgoglioso di loro e mi sento davvero un privilegiato a guidarli in queste nuove scoperte!
L’altro aspetto, e su questo bisogna dare atto al Sovrintendente Pace, è che si è trattato di una scommessa vinta da parte sua.
All’inizio molte persone suggerivano che forse il pubblico non avrebbe recepito bene questo cambio di repertorio. Ebbene, queste persone sbagliavano!
Pace ha creduto molto nel pubblico di Liegi, ha creduto molto che la proposta musicale di un Teatro non debba essere limitata ad un solo repertorio e questa fiducia è stata in effetti totalmente ripagata dato che registriamo praticamente un sold out dietro l’altro per le nostre produzioni!
S.L. : Come ci si avvicina a un capolavoro come il Tristano? Come evitare di essere sopraffatti dalla grandezza dell’opera e trovare il proprio posto, o una linea personale, tra le prestigiose versioni che hanno preceduto la sua, da Hans Knappertsbusch, Wilhelm Futrwängler e Karl Böhm a Carlos Kleiber, Leonard Berstein e Daniel Barenboim?
G.B. : Tutti i nomi citati sono semplicemente dei grandissimi modelli. Non mi paragonerei mai ad uno di questi giganti ma cerco di ascoltarli, di capire dove il confine di questa musica, che sembra più grande dell’essere umano, è stato convogliato dalla loro tecnica e dalla loro umanità. E’ musica complessa, somma, che intimorisce. E’ una musica che bisogna rispettare e temere in un certo senso. Penso che il migliore approccio sia partire da ciò che Wagner ha scritto e dalle sue precisissime indicazioni cercando il più possibile di restare fedeli alla sua poetica ed alla sua visione musicale. E poi, su questo, costruire un proprio affresco di colori e sfumature che sono personali ed unici ma senza mai dimenticare che il risultato finale non è per noi stessi ma è per trasmettere emozioni al pubblico.
S.L. : Dove vede le principali difficoltà dell’opera? Nella sua architettura generale, l’arco teso verso il Liebestod che lo corona? L’alternanza tra momenti sospesi, in cui il tempo si ferma, e la tremenda accelerazione alla fine degli atti? La ricerca di colori notturni, poetici, misteriosi nel II atto o quelli mortificanti e desolati del preludio del III atto?
G.B. : Quest’opera è tutta molto complessa. E’ un viaggio governato dal destino, dall’amore, dalla morte. E’ un viaggio dentro noi stessi e dentro la nostra anima. Non si può identificare un solo momento di questa musica perché non avrebbe senso slegarlo da resto. E’ come un grande domino; ogni tassello concorre a tessere l’impianto generale. E’ un affresco potentissimo di umanità e fatalità; un perfetto connubio tra la vita e la morte, tra la luce e le tenebre. E questo fa acquisire a questa musica un colore unico, riconoscibilissimo e quasi metafisico.
S.L. : Per questa produzione disponete di un cast molto raffinato, che comprende, nel ruolo di Isotta, un’interprete (Lianna Haroutounian) che forse siamo più abituati ad applaudire in Verdi, Puccini, Cilea… Cosa pensa che possa apportare a questo ruolo una voce più latina di quelle che si sentono di solito nel ruolo?
G.B. : Ho fortemente voluto Lianna su questa produzione. La conosco da tempo, abbiamo lavorato insieme appunto su un repertorio per lei più “tradizionale”. Ma lei è una grande Artista con una voce morbida, un’emissione perfetta ed un volume vocale ragguardevole.
La morbidezza del suo canto, unito alla grande espansione che riesce ad ottenere dalla sua cavata di suono, sono elementi che potranno dare vita ad una Isolde nuova, insolita, a cui non siamo abituati forse, ma credo estremamente affascinante! Sarà una splendida sorpresa!
Lianna Haroutounian - Cio-Cio-San (Butterfly) au Seattle Opera
S.L. : Siamo alle soglie di un nuovo anno: in questi tempi complicati dal punto di vista politico, sociale ed economico, cosa possiamo augurarci per la cultura in generale e per la musica in particolare?
G.B. : In un’epoca dominata dalla frammentazione e dall’individualismo, la cultura riveste un ruolo cruciale nel ricucire i tessuti sociali. La musica, in particolare, è un potente strumento di unificazione, una sorta di ponte, capace di trascendere le divisioni e di creare un senso di comunità. Attraverso le note, possiamo condividere emozioni profonde, celebrare le nostre conquiste e trovare conforto nelle avversità. La cultura, in tutte le sue forme, ci ricorda che siamo parte di qualcosa di più grande di noi stessi e ci invita a costruire un futuro più umano e sostenibile. In un mondo segnato da conflitti e incertezze, la cultura è la nostra bussola, la nostra luce guida e la nostra speranza.