Grazie al successo scaligero di Andrea Chénier (28 marzo 1896), Umberto Giordano ottiene quel riconoscimento popolare e “istituzionale” che gli valsero la concessione da parte del drammaturgo francese Victorien Sardou di poter ricavare dalla sua Fedora un libretto d’opera. La stesura di quest’ultimo venne affidata ad Arturo Colautti e alla prima rappresentazione dell’opera, avvenuta presso il Teatro Lirico di Milano il 17 novembre 1898, la Fedora, diretta da Giordano stesso, con Gemma Bellincioni nel ruolo epònimo ed Enrico Caruso nei panni di Loris Ipanoff, ottenne un successo destinato, di lì a poco, ad incendiare l’entusiasmo anche del pubblico d’oltralpe.
La modernità di Fedora consiste proprio nella sua costruzione, nell’attenta descrizione musicale che Giordano dona a una trama giallo-romanzesca, intrisa di enigmi e suspense, che si può benissimo ascrivere al genere thriller di matrice cinematografica. Infatti Giordano per “umanizzare” il turbinio di emozioni, sentimenti contrastanti, riflessioni e azioni vissute dai protagonisti, si avvale di un ritmo narrativo a volte serrato, comprimendo e accorciando i momenti di espansione lirica (esempio emblematico la brevità delle arie più famose come “Amor ti vieta” cantata da Loris e “Dio di Giustizia” intonata da Fedora), altre rallentandone il ritmo discorsivo, attraverso l’inserimento di piccoli brani vocali e strumentali di colore locale (ad esempio il valzer brillante , la polacca e le due canzonette “La donna russa è femmina due volte” e “Il parigino è come il vino della Vedova Cliquot“ nel secondo atto, oppure la melodia strumentale ranz des vaches e “La montanina mia” intonata dal piccolo savoiardo nel terzo atto.
La chiave di volta in questo processo di brevità e concisione è rappresentata, a mio avviso, dalla magistrale esecuzione dell’interludio sinfonico collocato a metà del secondo atto, offerta dall’esperto Direttore Marco Armiliato, il quale riesce ad intrecciare e a sottolineare tutte le sfumature comunicative dei tre temi musicali più importanti dell’opera (la melodia dell’aria di Loris, il tema di Vladimiro, e il tema della vendetta di Fedora) galvanizzando, sotto l’egida del potere magico della sua bacchetta, non solo la meravigliosa compagine scaligera, che lo segue tecnicamente a menadito, ma, anche e soprattutto l’entusiasmo del pubblico che gli decreta, come cassa di risonanza, il trionfo della serata!
In questo quadro da spy-story, la regia di Mario Martone, che si avvale della collaborazione ormai consolidata di Margherita Palli per le scene, Ursula Patzak per i costumi, Pasquali Mari per le lucidi e Daniela Schiavone per le coreografie, offre una chiave di lettura contemporanea di magrittiana memoria, scomponendo e ricomponendo, a mò di puzzle, nel corso dei tre atti, tutti gli elementi descrittivi di un famoso dipinto del surrealista pittore belga: L’assassino minacciato.
Il gioco creativo nell’originale ricostruzione del rebus registicodrammaturgico-musicale trasporta lo spettatore, come afferma lo stesso Martone, “in un viaggio da film di 007”. Partendo da San Pietroburgo nel primo atto, dove nel salotto del conte Vladimiro Andrejevich, presentato in una sorta di living room in stile newyorkese, che offre una vista, scena-fuoriscena, sulla moderna metropoli, si svolge il processo alla servitù, nella spasmodica ricerca-individuazione del presunto assassino, al cospetto dell’autorevolezza nobiliare-religiosa rappresentata dalla croce bizantina di Fedora, e alla presenza di quegli agenti-spie che ritroveremo nel quadro finale del terzo atto, con in testa il tipico cappello “Fedora”, elemento retrò, molto utilizzato tra la fine dell’800 e il 1950, eppur ai tutt’oggi à la page!
Il viaggio continua a casa della principessa Fedora, in un tipico Hôtel particulier di Parigi, nel secondo atto, dove ritroviamo le citazioni dei quadri sempre di Magritte, L’impero delle luci e Gli amanti, per approdare infine in Svizzera nell’atto conclusivo, in uno chalet dell’Oberland, dove viene ricostruita, su una bellissima scena che ritrae il paesaggio alpino, la tela de L’assasino minacciato.
La Fedora di Sonya Yoncheva, offre un quadro interpretativo di tutto rispetto. Il soprano bulgaro ha dato prova di saper delineare i tratti tipici della “donna russa” che “è femmina due volte, doppiamente adorabile ed ostil” nella sinuosa, seducente e conturbante presenza scenica, “con le dolcezze e gli impeti, le audacie e le viltà, pronta ad immolarsi e facile a tradir” in nome e
per conto di un Amore inaspettatamente travolgente che finisce per trasformarla da carnefice a vittima innocente, riuscendo a piegare le asperità di un registro grave e gutturale (senza ricorrere all’emissione mista, forse volutamente?) in un discorso interpretativo variegato che raggiunge il suo apogeo in “tutto tramonta…tutto dilegua…L’amore è ingiusto…buona è la
morte!” nel finale del terzo atto.
Da “assassino minacciato”, il Loris di Roberto Alagna assurge a vero proprio trionfatore della serata per quel concerne il cotè vocale del cast. Il tenore siculo-francese ha dimostrato in sintesi che, talento, tecnica, professionalità e onestà interpretativa rappresentano la conditio sine qua non per realizzare una splendida e longeva carriera, senza dover ricorrere necessariamente, in nome della tanto agognata gloria, a tutti quegli “artefizi” imposti nel mondo dell’opera lirica, soprattutto da un ventennio a questa parte, dal dittatoriale e vacuo “star system” intriso per lo più da un mediocre mix di politica, mafia e “starlette” o pseudo tali.
Puntale musicalmente e spigliata registicamente il soprano Serena Gamberoni nel ruolo della Contessa Olga Sukarev. Dotato di bell’impasto timbrico e di una sensibile vena interpretativa il De Siriex del baritono George Petean. Tra le parti di fianco da sottolineare le prove offerte dal giovane mezzosoprano Caterina Piva, che ha interpretato con bella voce timbrata e scenicamente a suo agio il ruolo di Dimitri, e dalla sensibile Cecilia Menegatti che ha saputo intonare con il giusto pathos la melanconica melodia di un piccolo Savoiardo. Funzionale il resto del cast.
Gli applausi da parte del pubblicano decretano, alla fine, l’idea vincente che sta alla base di un atto creativo come quella di mettere in scena un’Opera Lirica meravigliosa quale Fedora è a pieno titolo! La tavolozza infinita di note-colori a disposizione di un musicista-pittore che vuole dare forma-vita ad un’opera d’arte e che funzioni all’occhio, all’orecchio, e nell’animo dello spettatore, ha una sola origine: il genio artistico! quello di Umberto Giordano in questo “Quadro” particolare!
La Principessa Fedora Romazoff: Sonya Yoncheva
Il Conte Loris Ipanoff: Roberto Alagna
La Contessa Olga Sukarev: Serena Gamberoni
De Siriex, diplomatico : George Petean
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala (Maestro del Coro Alberto Malazzi), dir Marco Armiliato.
Regia Mario Martone
Scene Margherita Palli
Costumi Ursula Patzak
Luci Pasquale Mari
Coreografia Daniela Schiavone
Fedora
Opéra en trois actes d’Umberto Giordano, livret d’Arturo Colautti d’après le drame homonyme de Victorien Sardou, créé le au Teatro Lirico de Milan.
Teatro alla Scala, Milan, représentation du 21 octobre 2022.
8 commentaires
Fedora è una delle mie opere preferite
Davvero molto dettagliata la recensione di Antonio Samson sia per quanto riguarda la parte visiva che per quella musicale, ogni aspetto dello spettacolo è minuziosamente ispezionato e spiegato in maniera semplice e completa. Molto interessante anche l’introduzione e le notizie su come è nata Fedora sul suo periodo storico insomma una lettura piacevolissima ed esauriente che ti fa venire voglia di andare a vedere lo spettacolo.
Articolo splendidamente scritto e ricchissimo di informazioni. Niente di sorprendente, conoscendo il livello dell’autore.
Descrizione appassionata e accattivante. Una cura dei dettagli e del ritmo narrativo che rende l’articolo Bello, nel contenuto e nella forma. Complimenti!
Bellissima recensione, fa nascere il desiderio di vederla….
Una recensione che mostra tutti gli aspetti dell’opera: la storytelling appassionante dell’intreccio, la coerenza drammaturgica e al contempo misuratamente innovativa della messa in scena, la correttezza filologica dell’interpretazione. Ne consegue uno sprone per la visione da parte del pubblico, ma anche e soprattutto per le le programmazioni dei teatri italiani, spesso chiusi su cartelloni che poco conto tengono di questi capolavori considerati incomprensibilmente « opere minori »: come in questo caso, per un quadro musicale in cui si coglie tutta la pienezza di un Giordano maturo e padrone del proprio talento musicale.
Splendida ricostruzione di un dramma sempre moderno e pieno di suspense, bravi tutti, spiace solo non essere presente
Bella y sentida descripción de esta maravillosa ópera, justamente estoy escribiendo un nuevo libro que comienza en San Petersburgo.
Tu has captado la esencia del sentimiento que inspiró a Giordano y que tu has captado en toda su dimensión.
Fuerte abrazo