Boris Godunov e il Musorgskij outsider
Produzioni come questa fanno tornare la voglia diattribuire al Teatro alla Scala il titolo di “tempio mondiale della musica lirica”!
Dopo aver assistito alla prima scaligera in diretta televisiva, la recita del 23/12 ha rappresentato per me una piacevole ed emozionante conferma, sotto ogni punto di vista, delle impressioni vissute “a caldo” attraverso il tubo catodico. Assistere a una rappresentazione teatrale dal vivo costituisce un’esperienza unica e appagante, anche se la ripresa televisiva offre una visione più dettagliata e dunque più coinvolgente delle espressioni facciali dei personaggi/interpreti che difficilmente si possono cogliere in teatro.
La partecipazione emotiva, corporea e sensoriale ad una performance operistica, in particolare, riesce a trasportare lo spettatore attento, quasi per magia, nell’avvicendarsi della fitta trama di emozioni e sensazioni rappresentate sul palcoscenico, attraverso il galvanizzante universo sonoro, in una sorta di trasmigrazione quantistica, nei luoghi e nell’epoca in cui si svolge la vicenda, annullando ogni distanza di spazio, tempo e azione.
E il sound della versione Ur-Boris (ovvero “Boris originario”) del 1869, proposta in questa edizione scaligera, caratterizzato da una scrittura assolutamente ardita, innovativa, rivoluzionaria, straniante e visionaria, rispetto all’offerta lirica dell’epoca, fa assurgere a pieno titolo la figura di Modest Musorgskij a quella di un compositore schiettamente moderno e outsider nel suo genere, la cui scrittura musicale è vòlta in primo luogo ad approfondire i tratti realistici del dramma storico di Puskin.
La magistrale lettura orchestrale offerta dal preparatissimo direttore-filologo Riccardo Chailly, traduce, con dovizia di infinite sfumature sonore, grazie a un complesso orchestrale di prim’ordine, l’idea originale del compositore di voler dar vita a un’opéra dialogué, in cui le forme chiuse si sgretolano per favorire un “recitar cantando” serioso, profondo, narrativo sulle inflessioni melodiche tipiche della lingua russa. E a tal proposito, il bassobaritono
Ildar Abdrazakov, nel ruolo eponimo, già ascoltato da me in occasione di un recital di canto da camera alla Scala, dà prova di essere un fraseggiatore analitico di altissimo livello, in grado di controllare con intelligenza interpretativo-musicale la scabrosa e impegnativa tessitura della parte, cesellando con ottima tecnica ogni inflessione emotiva, psicologica, visionaria e tormentata del complesso personaggio. La scena della morte, cantata a fior di labbro, rappresenta l’acme della sua prodigiosa performance.
Registicamente, Kasper Holten ambienta l’intera opera all’interno della cronaca della storia russa scritta dal monaco Pimen, qui ottimamente interpretato dal basso Ain Anger, che diviene testimone scomodo per lo zar poiché combatte per la libertà di parola contro ogni tipo di censura imposta dal potere, incidendo su una grande pergamena, che si impone maestosa come leit motiv dell’impianto scenico realizzato da Es Devlin, per tutto il corso dell’opera, l’inesorabile verità storica. Per dare un senso più marcato al fluire narrativo della cronaca, in cui passato, presente e futuro si intrecciano (dettaglio riscontrabile anche nella scelta dei costumi ad opera di Ida Marie Ellekilde), il regista danese divide l’opera in due parti.
Nella prima parte si assiste alle circostanze che circondano l’ascesa al potere di Boris, in cui il popolo, altro vero protagonista dell’opera, vittima impotente e antagonista del potere assoluto, qui reso esemplarmente dal coro scaligero diretto dalla mano esperta di Alberto Malazzi, viene manipolato e impressionato dalla messa in scena dell’incoronazione, mentre nella seconda parte il linguaggio scenico diventa meno naturalistico, più intimistico e addirittura surreale perchè si rende lo spettatore partecipe attivo del dramma interiore vissuto da Boris: i sensi di colpa che lo attanagliano per aver ordinato la morte del legittimo erede al trono di Ivan il Terribile, lo zarevič Dmitrij, scandiscono l’inarrestabile avanzare della sua follia attraverso la visione del fantasma del bambino insanguinato che non dà tregua a lui e ai suoi due figli, Ksenija e Fëdor, rispettivamente e impeccabilmente interpretati da Anna Denisova e Lilly Jørstad, e la premonizione dell’analoga sorte che toccherà a questi ultimi.
L’opposizione tra il popolo e lo zar trova il suo culmine nel quadro davanti alla Cattedrale di San Basilio dove si verifica l’inevitabile faccia a faccia tra il potente e l’inerme, il colpevole e l’Innocente: quest’ultimo, interpretato da un emozionante Yaroslav Abaimov, col suo triste melos slavo scandito da semitoni-lamento, si pone come cassa di risonanza del senso di colpevolezza provata da Boris, ricordandogli che non è possibile pregare per la salvezza di uno zar Erode. La purezza di un canto tenorile chiaro, angelico e allo stesso tempo demoniaco nella sua cruda verità, che nella linea melodica discendente accompagnata dalla ossessiva ripetizione di brevi cellule ritmiche, esprime la sofferenza del singolo che diventa cosmica, una condizione ineluttabile, senza speranza.
Da sottolineare l’ottima prova del baritono Alexey Markov, nel ruolo di Andrej Ščelkalov, che offre un canto ben proiettato in maschera, dal bel timbro uguale e risonante in tutti i registri. Molto espressivo e intenso Dmitry Golovnin nel ruolo del sovversivo Grigorij Otrep’ev. Ben caratterizzato il Varlaam del basso Stanislav Trofimov dal timbro ricco e pastoso. Puntuali e preparati tutti gli altri interpreti.
Produzioni come questa fanno tornare la voglia diattribuire al Teatro alla Scala il titolo di “tempio mondiale della musica lirica”.
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Per leggere l’intervista al direttore del Teatro alla Scala, Dominique Meyer, cliccare sulla foto.
© Brescia e Amisano – Teatro alla Scala
Per leggere l’intervista al direttore musicale del Teatro alla Scala, Riccardo Chailly, cliccare sulla foto.
© D.R.
Boris Godunov : Ildar Abdrazakov
Fydor : Lilly Jørstad
Kseniya : Anna Denisova
La nourrice : Agnieszka Rehlis
Vasiliy Shuysky : Norbert Ernst
Shchelkalov : Alexey Markov
Pimen : Ain Anger
Grigorij Otrepev : Dmitry Golovnin
Varlaam : Stanislav Trofimov
Misail : Alexander Kravets
L’aubergiste : Maria Barakova
Yuródivïy : Yaroslav Abaimov
Un garde : Oleg Budaratskiy
Mityukha, un paysan : Roman Astakhov
Un boyard : Vassily Solodkyy
Chœurs, Voix de soprano de l’Académie du Teatro alla Scala et Orchestre duTeatro alla Scala, dir. Riccardo Chailly
Mise en scène : Kasper Holten
Décors : Es Devlin
Costumes : Ida Marie Ellekilde
Lumières : Jonas Bøgh
Vidéos : Luke Halls
Boris Godounov
Opéra en 7 scènes de Moussorgski, livret du compositeur (d’après Pouchkine). première version : 1869. Création de la seconde version à Saint-Pétersbourg (Théâtre Mariinski) le 8 février 1874.
Milan, Teatro alla Scala, représentation du vendredi 23 décembre 2022.