Composta tra aprile e luglio del 1835 e andata in scena al Teatro San Carlo di Napoli il 26 settembre dello stesso anno, Lucia di Lammermoor, su libretto di Salvatore Cammarano tratto dal romanzo The bride of Lammermoor di Walter Scott, è a tutt’oggi considerata il capolavoro del cigno bergamasco. Il successo dell’opera è senza dubbio dovuto al fascino romantico delle inebrianti e melanconiche melodie donizettiane che ben si innestano in una gotica narrazione drammaturgica di immediato impatto drammatico, riscontrabile quest’ultimo già a partire dalle prime battute della partitura che sembrano sottolineare l’ineluttabilità del tragico finale.
Il direttore Riccardo Chailly, a capo di una orchestra scaligera di notevole livello, sa sottolineare con impeccabile maestrìa tutte le più sottili sfumature agogico-dinamico-espressive richieste dalla partitura dando notevole risalto ai dettagli strumentali, e sa accompagnare l’evoluzione psicologica dei protagonisti, respirando e “cantando” insieme a loro. Da perfetto filologo musicale qual’è, Chailly propone l’edizione critica di Gabriele Dotto e Roger Parker, col ripristino di 33 battute e delle parti che spesso vengono tagliate, con lo scopo primario di rispettare la continuità del discorso armonico e drammatico che lega le azioni dei personaggi. A tal proposito, sono rimasto felicemente affascinato e rapito dall’utilizzo della glassa armonica, o armonica a bicchieri, strumento con bicchieri riempiti d’acqua che Donizetti aveva previsto per la prima del San Carlo nel 1835, ma che fu eliminata all’ultimo momento soltanto per un’improvvisa defezione del musicista che doveva suonarla. Il suono astratto di questo strumento, con il suo procedere frammentato, ben si addice a sottolineare il senso di smarrimento e di delirio alienate nel quale risulta imprigionata la protagonista nella famosa scena della pazzia.
La “continuità musicale” accuratamente perseguita dal direttore d’orchestra viene diligentemente garantita dall’idea registica di Yannis Kokkos, che cura anche le scene e i costumi. Il regista ateniese, coadiuvato dalla drammaturga Anne Blancard, dalle luci di Vinicio Cheli e dal video di Éric Duranteau, per mantenere la continua della narrazione realizza dei cambiamenti di scena a vista e ambienta l’azione in una società dei primi decenni del ‘900, senza valori e basata sul tradimento di cui Lucia rimane impotente vittima e per questo la stessa sceglie di estraniarsi dalla realtà abbandonandosi alla visione di quel “fantasma” che la ossessiona e che finisce per dilaniarla. Fantasma scenicamente ben rappresentato, a mio avviso, dalla statua di donna coricata e velata che richiama il Cristo velato della Cappella di San Severo a Napoli (opera del ‘700 di Giuseppe Sanmartino). Tutti i topoi della Scozia di Walter Scott sono rispettati: boschi lugubri, brughiere desolate, castelli diroccati, scene di caccia dipinte con tanto di statue raffiguranti cani, cervi e cieli plumbei con scene a V che citano i fulminei passaggi orchestrali concitati.
Il regista sa ben sottolineare, inoltre, i commenti delle masse corali alle vicende dei protagonisti con movimenti, azioni e gestualità scenicamente e stilisticamente adeguate alla vicenda narrata. Magnifica, a tal proposito, la prova offerta dal coro scaligero istruito da Alberto Malazzi.
A dar voce e pathos alla protagonista, il soprano americano di origini cubane, recentemente insignita del 42° Premio della critica musicale “Franco Abbiati”, Lisette Oropesa che offre al pubblico scaligero una funambolica Lucia di altissimo livello esecutivo, attenta a dar pregevole risalto a tutti gli stilemi espressivi che un capolavoro belcantistico esige, dotata di un controllo tecnico entusiasmante, di un timbro elettrizzante e di un fascino espressivo-attoriale del tutto personale che conquista e trionfa a scena aperta.
Juan Diego Florez è una vera superstar del firmamento lirico, e meritevole di esserlo (!), un vero fuoriclasse dal canto elegiaco, romantico, passionale, dalla tecnica poderosa sempre appoggiata “sul fiato” senza mai forzare anche quando le sonorità orchestrali raggiungono spessori più veementi nel sottolineare i momenti più drammatici. Un Edgardo dalla “bell’alma innamorata” che emoziona, seduce e ammalia. Meglio di così non si poteva sperare di ascoltare ai giorni nostri.
Il baritono russo Boris Pinkhasovic, dotato di un’emissione ben timbrata, delinea un Enrico egoisticamente cinico, oppresso com’è dall’obbligo di gestire da solo l’eredità familiare e disposto per ciò a sacrificare i sentimenti della sorella, ma anche suscettibile di pentimento nel vederla alla fine dilaniata dalla follia.
Nel ruolo di Raimondo, Michele Pertusi si conferma un esperto fraseggiatore, dal timbro nobile e pastoso, oltre che attore partecipe dalla imponente presenza scenica. Ottime, infine, le prove offerte da Leonardo Cortellazzi (Arturo), Valentina Pluzhnikova (Alisa) e Giorgio Misseri (Normanno).
Enrico : Boris Pinkhasovich
Lucia : Lisette Oropesa
Edgardo : Juan Diego Flórez
Arturo : Leonardo Cortellazzi
Raimondo : Michele Pertusi
Alisa : Valentina Pluzhnikova (de l’Académie de la Scala)
Normanno : Giorgio Misseri
Orchestre et chœur de la Scala, dir. Riccardo Chailly
Mise en scène, décors et costumes : Yannis Kokkos
Lumières : Vinicio Cheli
Vidéo : Éric Duranteau
Assistante à la mise en scène et à la dramaturgie : Anne Blancard
Lucia di Lammermoor
Opera seria en deux parties et trois actes de Gaetano Donizetti, livret de Salvadore Cammarano d’après Walter Scott, créé le 26 septembre 1835 au teatro San Carlo de Naples.
Milan, Teatro alla Scala, représentation du mardi 2 mai 2023.
1 commentaire
L’articolo ben esprime quanto provato nell’ ascoltare con occhi e cuore la drammatica sorte che investe Lucia, che quasi mi riconduce alla figura di Giulietta.
Un’opera travolgente che spero di rivedere ancora.