Andrea Chénier: l’hymne à l’amour di Umberto Giordano
Correva l’anno 1894, e l’allora ventottenne Umberto Giordano ricevette dal collega Alberto Franchetti l’opportunità d’oro di mettere in musica un libretto di Luigi Illica sulle vicende di André-Marie Chénier, il poeta-giornalista che scrisse articoli contro la deriva tirannica di una rivoluzione francese cui credette, sperando che portasse giustizia agli uomini capaci al di fuori dei titoli di nascita, ma che lo immolò negli ultimi sanguinosi sussulti del Terrore, due giorni prima della caduta di Robespierre. Nella realtà storica, il destino di Andrea Chénier fu segnato da quando il poeta, moderato e antigiacobino, scrisse un’ode in onore e memoria della girondina Charlotte Corday, l’assassina di Marat, esponendosi così alla vendetta dei giacobini.
L’opera, che resta a tutt’oggi il maggior successo di Giordano, debuttò al Teatro alla Scala il 28 marzo 1896. Per la fretta di musicarne il libretto che tardava ad arrivare, il giovane compositore da Napoli decise di trasferirsi a Milano, nello stesso palazzo dove abitava Illica, accettando perfino di soggiornare, per mancanza d’altro, in una stanza colma di statue provenienti o destinate al vicino Cimitero Monumentale.
“Da quando mi è stata offerta la regia dell’Andrea Chénier non riesco a non pensare a manichini, ad automi, a statue di cera”, così riferisce il regista Mario Martone che, avvalendosi della scenografia di Margherita Palli, delle luci di Pasquale Mari, dei costumi storici di Ursula Patzak e delle coreografie di Daniela Schiavone, sceglie di innestare al centro del palcoscenico del Piermarini, una macchina celibe, una struttura rotante come un carillon, molto funzionale tecnicamente alla narrazione scorrevole di una vicenda storica che si articola su diversi momenti spazio-temporali, e che, nell’idea del regista, funge da sfondo all’unico vero e vitale protagonista: l’Amore! E’ lui il vero senso della vita, il motore della storia, la vera rivoluzione, sia che si tratti dell’amor di patria e di giustizia o nei confronti della persona desiderata, o verso la propria musa ispiratrice “divina come la poesia!”. L’amore che trova nella morte il suo trionfo eterno: “Amor! Infinito! Amor! Viva la morte insiem!” cantano alla fine dell’opera i due protagonisti. Mutatis mutandi, nel suo « Hymne à l’amour » Edith Piaf cantava: « Nous aurons pour nous l’éternité, Dans le bleu de toute l’immensité, Dans le ciel, plus de problèmes, Mon amour, crois-tu qu’on s’aime ? Dieu réunit ceux qui s’aiment. »
Il sipario si apre nel primo quadro con la sala di ricevimento festivo nel Castello della Contessa di Coigny, in perfetto stile ancien régime, addobbata con lampadari luccicanti, specchi dorati, statue, poltrone e sofà, con la “patrizia prole” bloccata a mò di tableaux vivants, sia all’inizio che nel cambio della scena, per focalizzare l’attenzione sui sentimenti e i vissuti interiori dei singoli protagonisti. La scelta degli specchi nei primi tre quadri poi è registicamente strategica. Carl Gustav Jung si riferiva alla legge dello specchio in termini di ombra e proiezione: ovvero ogni persona proietta all’esterno, in modo del tutto inconscio e involontario, aspetti di sé stesso non accettati o estranei. Nel monologo “Compiacente a’ colloqui”, Carlo Gérard, mette in risalto una figura umbratile e contraddittoria poichè puntando il dito contro “le incipriate, vecchiette e imbellettate”, per ribellarsi a quegli sfarzi aristocratici mentre il popolo è in preda a “Sua grandezza la miseria!”, in realtà egli rivela la sua “doppiezza” “io vi bramo ed anzi sol per questo, forse, io v’amo”, trasformandosi nel terzo quadro in un capo politico pronto alla menzogna e alla miseria.
L’ultimo quadro, invece, ruota sul plumbeo e desolante cortile delle prigioni di Saint Lazare, privo di specchi, sul quale si scaglia, solitaria e agghiacciante protagonista della morte, la ghigliottina. Dettaglio curioso: il carceriere, a cui compete l’infausto compito di giustiziare la coppia di innamorati, Andrea Chénier e Maddalena (sotto le mentite spoglie di Idia Legray), si chiama Schmidt. E coincidenza volle che l’inventore dello strumento princeps del Terrore fu un certo Tobias Schmidt, un cembalista prussiano costruttore di pianoforti, chiamato a corte dallo stesso Luigi XVI per progettare e realizzare insieme a lui lo strumento che gli avrebbe dato la morte.
Se Martone riesce diligentemente nell’intento di illustrare le didascalie dettagliate del libretto di Luigi Illica, sul versante musicale il direttore Marco Armiliato, con la complicità di “una meravigliosa” orchestra scaligera, dimostra di saper sottolineare ogni dettaglio sonoro imposto dalla caleidoscopica, e per certi versi innovativa, partitura di Giordano, rendendo giustizia sonora a quel felice “connubio tra voci e orchestra dove tutto funziona nella stessa direzione”.
Sulle gavotte e i minuetti, di chiara matrice settecentesca, si stagliano gli autentici canti rivoluzionari (il Ça ira, la Carmagnola, la Marsigliese), mentre il nuovo è rappresentato dalle intrusioni della parola non cantata (le urla degli strilloni o della folla) e dal parlante (la declamazione intonata in cui il canto insiste su una sola nota ribattuta). Su questa fitta trama di tradizioni e innovazioni musicali si innesta il leit motiv, di chiara ascendenza wagneraina e verdiana, il motivo dell’amore (“Ecco la bellezza della vita”) cantato da Chénier, nel primo quadro, e ripreso nei quadri successivi, e affidato a strumenti solisti (violino, violoncello, corno inglese).
ll preparatissimo coro scaligero diretto da Alberto Malazzi, sa commentare camaleonticamente la vicenda rappresentata. Se nel primo quadro accompagna con tinte leggiadre e delicate la danza agreste e pastorale del romanzo di Fléville, nei quadri successivi sa trasformarsi nel popolo che partecipa, col proprio sacrifico, alla causa rivoluzionaria o nella folla “curiosa ed avida di sangue” assetata di cruda e inesorabile vendetta.
A ricoprire le vesti del ruolo eponimo, vero e proprio banco di prova per tutti i tenori lirico-spinti, il tenore Yusif Eyvazov, già protagonista della prima scaligera del 2017, dona al suo Andrea Chénier, eleganza nel porgere, enfasi declamatoria, liricità, passione amorosa e baldanza tenorile, “portando a casa” il personaggio con professionalità.
Vera rivelazione della serata, la Maddalena graziosamente seducente e teneramente appassionata del soprano Chiara Isotton, al suo debutto nel ruolo della protagonista femminile. Dotata di un timbro pastoso e suadente, di una voce uguale in tutti i registri, di una tecnica di emissione rotonda di chiara matrice belcantisctica, di un’emissione mai forzata e sempre “sul fiato”, il soprano dimostra di possedere tutte le carte vincenti per una brillante carriera.
Il baritono Ambrogio Maestri, forte di un nobile impasto timbrico e di una schietta padronanza comunicativa, delinea un Carlo Gérard sfaccettato e incisivo, riuscendo ad esprimere con efficacia interpretativa i sentimenti di ribellione, perdizione, compassione, redenzione.
Il mezzosoprano Francesca Di Sauro, dotata di un bel timbro e di una conturbante presenza scenica, interpreta con generosità e varietà di accenti la mulatta Bersi.
L’”Incredibile” di Carlo Bosi è di altissima levatura interpretativa, ironicamente e beffardamente insidioso, dal timbro squillante e dall’emissione sempre fresca e compatta.
Elena Zilio con la sua Madelon, si dimostra una intramontabile professionista riuscendo a mesmerizzare emotivamente il pubblico facendo del suo arioso un autentico cameo interpretativo.
Validi e puntuali tutti gli altri interpreti: Rubén Amoretti (Roucher), Josè Maria Lo Monaco (La Contessa di Coigny), Giulio Mastrototaro (Il sanculotto Mathieu), Paolo Antonio Nevi (L’Abate), Sung-Hwan Damien Park (Pietro Fléville), Adolfo Corrado (Fouquier Tinville), Li Huanhong (Schmidt / Il Maestro di Casa) e Emidio Guidotti (Dumas).
Pubblico felice e osannante per tutti i protagonisti: “L’Amour, c’est tout!”
Per leggere questo articolo in francese, cliccare sulla bandiera.
Andrea Chénier : Yusif Eyvazov
Charles Gérard : Ambrogio Maestri
Madeleine de Coigny : Chiara Isotton
Bersi : Francesca Di Sauro
La comtesse de Coigny : Josè Maria Lo Monaco
Madelon : Elena Zilio
Roucher : Ruben Amoretti
Fléville : Sung-Hwan Damien Park
Fouquier-Tinville : Adolfo Corrado
Matthieu : Giulio Mastrototaro
L’Incroyable : Carlo Bosi
L’Abbé : Paolo Nevi
Schmidt / Le maître de maison : Li Huanhong
Dumas : Emidio Guidotti
Ballet de la Scala – Orchestre et chœur de la Scala, dir. Marco Armiliato
Mise en scène : Mario Martone
Décors : Margherita Palli
Costumes : Ursula Patzak
Lumières : Pasquale Mari
Chorégraphie : Daniela Schiavone
Andrea Chénier
Opéra en 4 actes d’Umberto Giordano, livret de Luigi Illica, créé à la Scala de Milan le 28 mars 1896.
Milan, Teatro alla Scala, représentation du jeudi 11 mai 2023.