A Firenze, in un Teatro del Maggio gremito di pubblico, domenica 16 febbraio ha debuttato Rigoletto di Giuseppe Verdi; è la prima ripresa in tempi “normali” di un allestimento del Maggio Musicale Fiorentino: per le stagioni 2020-2021, 2021-2022 e 2022-2023 era stata commissionata a Davide Livermore la regia di tutta la “Trilogia popolare”, ma sono stati realizzati solo Rigoletto e La traviata (il Trovatore è stato necessariamente tagliato, con tutte le produzioni costose previste, nell’anno del commissariamento del teatro). Rigoletto andò in scena a teatro chiuso (trasmesso in streaming e registrato su DVD) nel Febbraio 2021 in piena “era covid”, diretto da Riccardo Frizza, con Luca Salsi; fu ripreso per sole tre recite quando riaprirono i teatri nella seconda metà di Ottobre 2021, con Amartuvshin Enkhbat, e attendeva il momento buono per essere riprogrammato, sia pure con esecutori diversi. Curiosa storia, quella del Rigoletto al Maggio nell’ultimo mezzo secolo: trascuratissimo per oltre un trentennio, con solo quattro apparizioni del titolo fra il 1971 e il 2003, in 18 anni si sono poi viste quattro produzioni; ma l’ultima, come si è detto, era nata in un brutto momento e il pubblico è accorso numeroso alla sua ripresa, che equivale a una prima.
Alla direzione dell’Orchestra e del Coro del Maggio c’è stavolta Stefano Ranzani, che già venne a dirigere un travolgente Rigoletto a Firenze nel 2009, nel vecchio Teatro Comunale: Desirée Rancatore, pur debuttante nel ruolo di Gilda, eseguì un Caro nome perfetto, che scatenò 10 minuti di applausi e urla d’entusiasmo, comprese le mie; da quel momento il pubblico rimase in delirio fino alla fine, galvanizzando gli interpreti; il Sì vendetta alla fine del secondo atto fu bissato a furor di popolo. Proprio per questo precedente e per la lunga esperienza di Ranzani in questo titolo, ci si sarebbe aspettati da lui una maggiore incisività nei momenti più tragici, ma nel complesso la bacchetta è sicura, l’Orchestra del Maggio suona bene e il Coro (che, come si sa, in quest’opera è solo maschile) è superlativo.
Rigoletto è l’ispano-americano Daniel Luis de Vicente, debuttante sul palco fiorentino, ma non nel ruolo, che anzi interpreta da anni in vari importanti teatri europei ed è il suo cavallo di battaglia; voce molto potente ed estesa, buona dizione, è il più festeggiato dal pubblico alla fine. Molti applausi riceve anche l’aggraziata Gilda di Olga Peretyatko, la cui prestazione migliora via via che avanza il dramma. Non parevano invece al meglio della forma Celso Albelo, la cui carriera decollò proprio col ruolo del Duca di Mantova 19 anni fa (e l’esperienza certo non gli manca, ma la voce è apparsa un po’ stanca), e, nel I atto, Alessio Cacciamani, già buon interprete di Sparafucile nel 2021, ma il cui attesissimo Fa basso nel duetto con Rigoletto stavolta in sala si percepisce appena. Nel quartetto del III atto è invece la voce di Eleonora Filipponi (Maddalena) a risultare un po’ troppo attutita e l’amalgama ne risente; probabile che molte cose si assestino nelle repliche (martedì 18 alle 20, con Leon Kim nel ruolo del titolo, giovedì 20 alle 20 e domenica 23 alle 15.30, entrambe di nuovo con Daniel Luis de Vicente), che pure si avviano al tutto esaurito.
Molto buone le parti di contorno e nel complesso lo spettacolo tiene, anche se la regia di Davide Livermore, ripresa piuttosto fedelmente da Stefania Grazioli, non è di quelle che aiutano i cantanti. Fra le intenzioni dichiarate nel 2021 dal regista torinese c’era quella di rendere la vicenda ancora più cupa dell’originale: si parte dalla fine, col cadavere di Gilda a terra in una squallida stazione della metropolitana, fra tre passanti impassibili, con lo sferragliare dei treni che invade la sala subito prima che gli ottoni attacchino il tema della maledizione; poi entra Rigoletto, Gilda esce e la scena si apre su un festino in maschera (con bellissimi abiti che rinviano vagamente al XVI secolo dell’ambientazione originaria), sullo sfondo, finché si è nel palazzo del Duca, passano proiezioni di pitture sei-settecentesche variamente connesse all’azione e si sviluppa una trasposizione già attuata in passato da Jonathan Miller, che trasponeva Rigoletto in un’atmosfera da film di gangster (ma tra malavitosi della Los Angeles di metà Novecento lo ambientava anche Michael Mayer al MET una decina d’anni fa).
Giustappunto un gangster è il Duca di Mantova, con una sua bisca di lusso, che prende il posto della locanda-trappola di Sparafucile nella quale lavora la di lui sorella Maddalena, vestita più o meno da Gilda: non quella del Rigoletto, ma quella del film con Rita Hayworth; altre allusioni cinematografiche rinviano a Eyes wide shut e Shining di Kubrick. Rigoletto non nasconde la figlia in una casa, ma in una squallida lavanderia seminterrata limitrofa alla solita metropolitana, che si vede sul fondo; dagli stand di abiti spunta il Duca, talmente furtivo che si annuncia sparando alle luci al neon mentre ancora Rigoletto è in visita. Alla fine (come nella Traviata dello stesso Livermore), a terra Sparafucile depone Gilda già morta, mentre lei, che canta tutto il finale stando in piedi alle spalle del padre abbracciato al cadavere nel sacco (di plastica, da spazzatura), si avvia verso un orizzonte di luce candida. Naturalmente niente gobba: la deformità di Rigoletto è tutta morale. Lo spettacolo ha i pregi e difetti del cosiddetto teatro di regia, che ormai ha i suoi luoghi comuni: non manca di potenza, il primo atto è sontuoso e bello anche da vedere (sia pur con qualche sparo di troppo) e ci sono diverse idee di notevole impatto e che funzionano, come quella di far cantare a Gilda-lavandaia il Caro nome estraendo un lungo velo da sposa da una lavatrice e avvolgendosene (velo che poi, dopo il rapimento, si rivedrà macchiato di sangue come quello di una novella Tisbe). Però in questa dislocazione, come del resto avvenne un po’ anche all’ottimo cast del 2021, non è facile mantenere le sfumature che i personaggi di Verdi (e del suo librettista Francesco Maria Piave), soprattutto Rigoletto, ma anche gilda e perfino il duca di Mantova, avrebbero. Buona complessivamente la resa delle parti di contorno.
Il Duca di Mantova: Celso Albelo
Rigoletto, suo buffone di corte: Daniel Luis de Vicente (Leon Kim 18/2)
Gilda, figlia di lui: Olga Peretyatko
Sparafucile, bravo: Alessio Cacciamani
Maddalena, sorella di lui: Eleonora Filipponi
Giovanna, custode di Gilda: Janetka Hosco
Il Conte di Monterone: Manuel Fuentes
Marullo, cavaliere: Yurii Strakhov
Matteo Borsa, cortigiano: Daniele Falcone
Il Conte di Ceprano: Huigang Liu
La Contessa di Ceprano, sposa di lui: Letizia Bertoldi
Usciere di corte: Egidio Massimo Naccarato
Paggio della Duchessa: Aloisia de Nardis
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino dir. Stefano Ranzani
Regia: Davide Livermore, ripresa da Stefania Grazioli
Scene: Giò Forma
Costumi: Gianluca Falaschi, ripresi da Gian Maria Sposito
Luci : Antonio Castro, riprese da Fabio Rossi
Video: D-Wok
Assistente movimenti coreografici Elena Barsotti; figuranti speciali: Maria Lucia Bianchi, Ilaria Brandaglia, Maria Novella Della Martira, Livia Risso, Sara Silli, Andrea Bassi, Egidio Egidi, Giampaolo Gobbi, Leonardo Paoli, Carlo Pucci, Simone Ticci.
Rigoletto
Melodramma en trois actes de Giuseppe Verdi, livret de Francesco Maria Piave, créé au Teatro La Fenice de Venise le 11 mars 1851.
Maggio Musicale Fiorentino, 16 febbraio 2025